In occasione della nascita del blog del Pepe Verde cogliamo l’occasione per una chiacchierata con Riccardo Dary, fondatore della scuola, che ci racconta come nel corso degli ultimi decenni sono cambiate le scuole di cucina ed esprime le sue opinioni sul ruolo del made in italy nel mondo
Quando è stata fondata la scuola?
L’Accademia di alta cucina Pepe Verde è stata fondata nel 1988; è la più antica di Roma e una delle più rinomate e blasonate in Italia. Sita nel cuore della capitale, nel palazzo Englefield a pochi metri dal Quirinale.
Spazi attrezzati e una spaziosa sala con comode postazioni di lavoro sono gli elementi indispensabili per “godere” al meglio l’esperienza della lezione di cucina, rendendo possibile a chiunque desideri manipolare e lavorare, preparare e cuocere sempre sotto la supervisione di chef professionisti.
E’ un importante punto di riferimento per chiunque voglia accostarsi all’apprendimento nonché all’approfondimento del mondo della cucina. Contribuisce alla formazione professionale e alla specializzazione degli chef, fornisce una preparazione di base a tutti coloro che amano la cucina.
Massima cura è data all’insegnamento, alla chiarezza del linguaggio e all’abilità di rendere facile ciò che sembra difficile. Lo staff dell’Accademia è composto da esperti e chef di indiscussa professionalità, la maggior parte di loro ha un background internazionale e la loro esperienza è messa a disposizione per divulgare e far conoscere la nostra importante tradizione gastronomica. E’ un centro polifunzionale che abbraccia a 360° il mondo enogastronomico, i suoi settori più importanti sono la didattica con i corsi di cucina e la consulenza con realizzazioni di iniziative editoriali e di progetti per aziende operanti nel food e nel beverage.
Rappresenta oggi un punto di riferimento importante per chi, privato o azienda, desidera trovare in un unico contesto corsi per appassionati o aspiranti gourmet, conferenze.
Oltre all’attività didattica che comprende corsi professionali per cuochi e varie tipologie di corsi per gli appassionati sono previsti appuntamenti tematici sui prodotti, degustazioni, gite “fuori porta” presso produttori alimentari, viaggi enogastronomici e molto altro per sapere di più sul cibo, sulla cucina, sul ricevere e sul godere della buona e sana tavola.
Negli ottanta si parlava di cucina in modo ossessivo così come si fa oggi?
Assolutamente no, negli anni ottanta questo argomento era trattato con maggiore professionalità oggi invece se andate su internet e digitate la parola “cucina” potrete accedere istantaneamente a più di un milione di pagine sull’argomento, una vita non basterebbe a consultarle tutte. Assistiamo che ogni blogger è un medium e ogni lettore è un editor, ormai le notizie gastronomiche che circolano sui social network trovano centinaia di persone pronte a correggerle, contestarle, arricchirle. La vecchia cultura del “bisogno di sapere” deve fare oggi i conti con il “bisogno di condividere” . Ma qual è il risultato? la quantità abnorme di informazioni in circolo è senza argini, il web a differenza di una pagina non ha confini. Un mondo populista perché terreno fertile per propaganda e instabile perché il nuovo sapere non è frutto di uno scambio tra professionisti del settore ma nasce proprio dal disaccordo di chi partecipa alla discussione. Una “cultura” molto generalista che di conseguenza ha indebolito e distorto il sapere in cucina.
Com’è cambiato il modo di insegnare l’arte culinaria negli ultimi 20 anni?
Radicalmente, una volta nelle scuole di cucina, l’allievo era relegato dietro un virtuale banco di scuola, ascoltava attentamente, prendeva nota dei suggerimenti dei “trucchi” o “segreti” che lo chef era pronto a svelare. Oggi invece sull’onda dell’indigestione della cucina in TV , la figura dello chef insegnante è molto ridimensionata l’allievo vuole assolutamente essere il protagonista, mettersi a confronto con gli altri e crede di essere bravo se dimostra di saper mantecare, sfilettare, lardellare o impiattare. Siamo passati da una cultura gastronomica dell’essere a una dell’apparire, putroppo prodotto dei tempi che viviamo.
Quali sono i tre personaggi più importanti degli ultimi 50 anni nell’universo della gastronomia?
E’ limitativo ricondurre a un numero così esiguo i personaggi che sono o sono stati importanti nella gastronomia. I “veri divulgatori” (che non sono poi così pochi) nel proprio specifico campo (cibo, vino, storia, ricerca etc) sono riusciti a lasciare sempre un segno indelebile nel cosmo culinario contribuendo fattivamente a diffondere questa bellissima scienza. Non solo chef, come forse è naturale pensare, ma anche altre categorie di persone che come denominatore comune hanno avuto sempre l’amore per il mondo gastronomico. Non voglio fare torto a nessuno ma nella mia personale classifica vorrei menzionare tre figure per me molto importanti.
Carlo Petrini ideatore e fondatore nel 1989 dello Slow Food, cosa dire ha governato uno dei più prestigiosi movimenti Internazionali, nel 2008 il quotidiano inglese Guardian posiziona Petrini tra le 50 persone che potrebbero salvare il pianeta. Non basterebbero pagine e pagine per menzionare i riconoscimenti e le lotte sostenute da questa personalità (conosciuta a livello mondiale) a favore di una agricoltura maggiormente compatibile e contro lo strapotere dell’industria agro-alimentare.
Ferran Adrià è considerato uno dei migliori chef nel mondo. Il suo famoso ristorante El Bulli (ormai chiuso dal 2012) è stata la meta preferita dei più famosi gourmet. Adrià è stato incluso nella lista (compilata dal quotidiano Time) dei cento uomini più influenti sulla Terra. Genialità, ironia e grande professionalità, è riuscito con la sua cucina di ispirazione molecolare a provocare e allo stesso tempo a deliziare i palati più esigenti del modo gastronomico. Vi riporto una sua dichiarazione che delinea il personaggio “il cliente ideale non viene a El Bulli per mangiare, ma per provare un’esperienza”.
Vorrei infine menzionare La “Cucina Italiana” non è un personaggio reale ma una rivista gastronomica alla quale sono particolarmente affezionato. Nel dicembre 1929 usciva il primo numero, è stata la prima vera rivista di cucina, un pezzo di storia italiana, forse non conosciuta nel mondo ma in Italia è stata l’unica che ha saputo individuare negli anni i gusti della famiglia italiana, la prima che ha valorizzato l’uso di ingredienti semplici e poco costosi permettendo alla famiglia italiana (attraverso le ricette) di non rimanere esclusa dal piacere della cucina. Ultima chicca nel 1929 la redazione era composta anche da un “Comitato di degustazione” una giuria di undici intellettuali con il compito di giudicare i prodotti alimentari, unicamente italiani, immessi sul mercato.
Noi italiani abbiamo ancora qualcosa da insegnare in cucina?
Credo mai come in questi ultimi anni il made in Italy sia ai vertici mondiali e la cucina senz’altro ha contribuito a far conoscere l’italianità nel mondo. La semplicità è il successo della nostra cucina e dobbiamo portare avanti questo movimento, dobbiamo avere il rispetto della materia prima, valorizzare i prodotti tipici unici che non a caso abbiamo il primato europeo per numero di tipicità registrate. Preparazioni leggere, una equilibrata gestione dei grassi e qualità della materia prima sono le caratteristiche dell’eccellente livello della ristorazione italiana. Abbiamo dei bravissimi chef conosciuti in tutto il mondo, tocca a loro però trasmettere questa filosofia di “cucina” anche ai colleghi meno stellati e far capire che questa è la giusta strada per proiettare la bellezza del cibo nel mondo.